Quanto tempo manca?
Sembriamo essere tutti ossessionati da questa domanda. Viviamo costantemente alla ricerca di una risposta confortante che ci dica che la fine è o non è vicina. E quando il tempo è poco, non abbiamo neanche un attimo per pronunciare la domanda che subito ci troviamo in balìa di qualcos’altro che richiede la nostra attenzione, la nostra energia, il nostro rimasuglio di tempo.
E se tutto improvvisamente si fermasse davvero? Se quel tempo che sembra tanto appartenerci non finisse mai?
Il nostro tempo - quello del lavoro, dell’esperienza, dell’amore, del gioco, della scoperta.
Se questo andasse avanti senza tregua? E noi, dietro di lui, vecchi, vecchissimi ma ancora con un soffio di vita capace di tenerci in piedi e farci godere di ogni nuovo, anche piccolo, dettaglio, non vivremmo forse con meno ansia del futuro e meno timore del passato, sempre pronto a influenzare il nostro presente? Probabilmente. Eppure il nostro corpo dopo una scalata continua [verso un]a vetta che non esiste (1) non può far altro che rallentare di fronte al continuo fluire di un tempo tiranno che invece, convenzione o no, (anche lui) non può far altro che correre, contribuendo al panico generale. Queste due velocità, ormai del tutto opposte, hanno sempre danzato insieme; oggi, più che mai, sembrano negarsi, costituendo una rigida dicotomia all’interno della parola “Vita”. Per essere più precisi dovremmo parlare di un Tempo del Corpo e un Tempo Sociale che, insieme, partendo da caratteri biologici ed economici (apparentemente) del tutto oggettivi, si impongono in maniera differente sull’individuo, lottando per una costante scansione ritmica della sua vita, quest’ultima intesa come un flusso di eraclitea memoria.
Scandire ritmicamente il tempo significa dargli una forma, delle regole, significa costruire dentro e intorno ad esso un senso che non per forza coincide con quel personale desiderio (2) di senso che ognuno di noi conserva dentro di sé - ciò che di più intimo esiste al mondo.
Il Tempo del Corpo è biologicamente rilevante: è il Tempo della Vita ovvero l’insieme scandito di richieste e urgenze che il nostro organismo ci invia per perpetuare la sua esistenza. Esso, attraverso il cuore, il respiro e tutto il sistema dei ritmi circadiani, ci permette di scoprire empiricamente una prima e comune nozione di ritmo (3) come attività scandita da intervalli di tempo . La configurazione ritmica che scandisce il Tempo del Corpo ci appare del tutto naturale: essa ha un carattere ciclico, segue costantemente un pattern più o meno regolare, interno e relativamente silenzioso, percepibile tramite il respiro e le esigenze che il nostro corpo ci comunica. Alla percezione del ritmo corporeo sembrerebbe essere legata l’intuizione che fece scoprire (4) all’essere umano, forse, il primo grande contenuto mediale condiviso: la musica. Risulta importante, ai fini dell’analisi, specificare che in questo caso, l’espressione “Tempo del Corpo” sta ad indicare non solo il corpo fisico esteriore ma l’intera entità in quanto Persona, perciò comprende nel suo significato anche tutti gli aspetti emotivi e psicosomatici. Il Tempo Sociale consiste innanzitutto nella regolazione di alcuni parametri temporali (5) e di conseguenza nell’istituzione di convenzioni tendenzialmente astratte (come l’ora, i calendari, le durate standard, le propedeuticità, etc.) ma che producono effetti concreti, obbligandoci a stare nel tempo in una determinata maniera. L’esempio più estremo di questo tipo di obbligo tramite una scansione ritmica quotidiana imposta si ritrova in quelle che Irving Goffman nomina istituzioni totali. «Ogni istituzione si impadronisce di parte del tempo e degli interessi di coloro che da essa dipendono, offrendo in cambio un particolare tipo di mondo [...].» (6) all’interno del quale «[...] le diverse fasi delle attività giornaliere sono rigorosamente schedate secondo un ritmo prestabilito che le porta dall’una all’altra, dato che il complesso di attività è imposto dall’alto da un sistema di regole formali esplicite e da un corpo di addetti alla loro esecuzione.» (7) Al Tempo Sociale corrisponde una configurazione ritmica variabile, spesso a seconda della storia e della cultura di riferimento. Essa viene generalmente accettata e condivisa dalla società, la sua (auto)imposizione avviene nell’ottica di un quieto vivere comune. La percezione che ne abbiamo è come di un ritmo esterno applicato per convenzione e/o convenienza alla nostra quotidianità privata e pubblica. In questo spazio di analisi, vorrei allargare l’espressione “Tempo Sociale” includendo in essa dinamiche che implicano socialità a fini non propriamente sociali ma di mercato: oggi, potremmo parlare (forse) di Tempo del Mercato vs Tempo del Mercato della socialità. Questa specifica avviene con l’intento di prendere coscienza di quella società del desiderio in cui siamo immersi. «Il desiderio è la materia prima più importante di un’economia in cui la capacità produttiva cresce sistematicamente, anzi, deve crescere, semplicemente per mantenere il numero degli occupati, il tasso di profitto, insomma il proprio funzionamento. L’aumento continuo e non la semplice stabilità del prodotto interno lordo è condizione economica necessaria per il buon funzionamento della nostra società. Come un aereo che non sta in aria se non si muove, l’economia in cui viviamo crolla se non accelera, spinta da un aumento della domanda [...].» (8) Il grande cambiamento della società contemporanea consiste in una folle corsa (9) verso lo Sviluppo, il che implica un’accelerazione del Tempo Sociale e una saturazione del Tempo del Corpo, piegando il Tempo Vissuto alla regola del always on e condannandolo a un perenne just in time. Il libro di Nuccio Viglietti, A TEMPO Rap sinfonietta in quattro movimenti, è esattamente la denuncia poetica di questo cambiamento e di come questa saturazione del Tempo del Corpo (e della mente) si manifesti quotidianamente nel mondo.
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A TEMPO Rap sinfonietta in quattro movimenti è un libro di Nuccio Viglietti, torinese, autore del blog Il Gatto Matto Quotidiano. Nouvelle Plague ha realizzato un primo adattamento teatrale a partire da una riduzione di questo testo.
Giulia Bocciero
NOTE AL TESTO
1 Viglietti, N. A TEMPO Rap sinfonietta in quattro movimenti, p. 32
2 Volli, U. Figure del desiderio, p. 11 «Il desiderio, negando la realtà effettuale per immaginare al suo posto una situazione più soddisfacente, è per definizione sovversivo.»
3 Ceriani, G. Il Senso del ritmo, p. 102
4 Volli, U. corso di Filosofia della Comunicazione presso l’Università degli studi di Torino (2018) 5 Volli, U. cita Jullien, F., ibid. 6 Goffman, I. Asylums, p. 33 7 Ibidem, p.36 In questo caso, non sempre l’imposizione viene accettata da chi la vive (basti pensare a buona parte degli internati di un qualsiasi (ex)manicomio o di una prigione). La mancata accettazione costituisce un problema, una pericolosità che, ben presto, chi di dovere all’interno della società sarà pronto a sedare o contenere per il bene di tutti. Per il momento, mettiamo da parte il caso della reclusione, tenendo però a mente quel sentimento di esclusione provocato dall’essere/sentirsi fuori posto. 8 Volli, U. Figure del desiderio, p. 7
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