#dietrolospettacolo: appunti di rivoluzioni
- Nouvelle Plague Teatro
- 26 apr 2020
- Tempo di lettura: 3 min

<< Improvvisamente la danza, che giaceva da così tanto tempo adagiata nel suo lettino si è alzata in preda a un desiderio bruciante. Nessun Principe Azzurro era la risposta.
Si svegliò e spalancò gli occhi sulle bocche dei fucili della prima guerra mondiale e fu affascinata da cose inverosimili … >>[1]
Tutto è in continuo, graduale, mutamento. Ma, di tanto in tanto, accade quel qualcosa che genera un punto di non ritorno, come una scintilla che accende una miccia, e si consuma, inesorabilmente, adagio. Nel corso della storia si sono verificati una serie di eventi che per la loro violenza e gravità non hanno potuto far altro che sconvolgere l’ordinario o invertire le correnti.
Come un’esplosione.
E niente fu più come prima.
Frase che, forse, istintivamente può risuonarci in testa nella sua accezione negativa, e che io stessa ho scritto perché, ammettiamolo, sta aleggiando nell’aria anche in questo periodo, in diverse forme.
Esistono molti modi per reagire allo scoppio di una bomba, o all’imprevisto.
In questi ultimi due mesi abbiamo dovuto cercare espedienti vari per combattere quella sorta di sospensione in cui ti senti trascinare durante l’isolamento, in uno stato alterato e inaspettato della vita quotidiana.
Personalmente, è stato piuttosto stimolante trovare sostegno tuffandomi in un vortice di parole e riflessioni, e leggere di come - circa cento anni fa - alcune figure dotate di grande talento e carisma, all’interno dell’arte e della cultura di allora, abbiano compreso la necessità di una vera e propria rivoluzione nel campo della danza, che possiamo ora definire Moderna. Ai primi del Novecento erano molte le nuove influenze di chi stava indagando in modo innovativo la concezione e conformazione della danza[2], e le visioni di Isadora Duncan, Rudolf Laban, Ruth St.Denis e Mary Wigman – per citarne solo alcune fra le più significative – hanno messo in moto quello che avrebbe portato a un distacco dal mondo del balletto e dalla danza accademica, com’era conosciuta fino ad allora. Se prima si parlava del ballo come rappresentazione, intesa come qualcosa di grandioso e spettacolare, i cui effetti scenici erano utilizzati come strumento di distrazione del pubblico dalle preoccupazioni e difficoltà della vita quotidiana[3], la prima guerra mondiale portò alla nascita di una nuova consapevolezza della vita dell’uomo e dello strumento del corpo, e allora <<ogni cosa fu nuovamente valutata in una luce di violenza e di una terribile distruzione>> [4].
Il progresso nelle tecniche e nei contenuti, quest’ultimi piuttosto “frivoli” fino ai primi decenni del XX secolo, utilizzati precedentemente come comunicazione nell’azione, sembravano aver subito un arresto, e la danza risultava ormai sopita tra soffici tulle e gesti innaturali; gli interrogativi rispetto a quale fosse la funzione del danzatore, all’indagine sull’autenticità[5] del gesto e del corpo, l’urgenza di nuovo linguaggio nel movimento e di una teoria che ne approfondisse e declinasse gli aspetti, si presentò a voce alta subito dopo lo sconvolgimento sociale del primo grande cataclisma.
E niente fu più come prima.
La danza - e più in generale l’arte - ha la grande opportunità e, al tempo stesso, la forte responsabilità, di registrare il pensiero dell’uomo e con esso la sua evoluzione. A volte il cambiamento è già avvenuto, e neanche ce ne siamo accorti.
Bisogna lasciare che si riveli, che si manifesti; anche se può essere doloroso, anche se può essere sconcertante.
Non smettiamo di cercare la Bellezza.
Valentina Bosio
Note [1] D. Humphrey, The Sleeping Beauty, in The Art of Making Dances, a cura di Barbara Pollack, New York, Holt, Rinheart and Winston, 1959. [2] I. Duncan, L. Fuller, R. St. Denis, Donna è Ballo – Nascita e affermazione della Danza Moderna, Edizioni Ghibli, 2015. [3] A. Senatore, La danza d’autore, Vent’anni di danza contemporanea in Italia, UTET Università, De Agostini, 2007, cit. p. 8. [4] I. Duncan, L. Fuller, R. St. Denis, Ibidem. [5] In questo caso si fa riferimento al senso etimologico della parola, in quanto composta da autòs (sé stesso) ed entòs (in, dentro) e quindi al significato più pregnante di autentico, inteso come ciò che si riferisce alla nostra vera interiorità, al di là di quello che vogliamo apparire o crediamo di essere.
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